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TASSI FED

Nella giornata di mercoledì scorso abbiamo riscontrato una diminuzione dei tassi di interesse da parte della Federal Reserve, la quale come secondo le previsioni si è dimostrata più accomodante con l’economia americana, imponendo un taglio sul costo del denaro di 0.25 punti.

Ora possiamo dire che in molti si aspettavano un deprezzamento del dollaro anche se di breve termine, cosa smentita poco dopo il rilascio dei dati, dove si è visto un aumento di volatilità unita a incertezza che è sfociata in un movimento a favore del dollaro.

Ma se ce stata questa diminuzione dei tassi di interesse come mai il dollaro americano non si è deprezzato?

POWELL

Nella conferenza di mercoledì poco dopo il rilascio dei dati ufficiali, Powell nel suo discorso si è sbilanciato in maniera notevole, facendo capire che al taglio dei tassi appena fatto non sarebbe seguito nessun piano espansivo.

A chi chiedeva se la Fed avrebbe iniziato una manovra di espansione economica Powell ha risposto “Non è quello che vediamo ora. Non è la nostra visione né la nostra prospettiva”

Secondo Powell quindi il taglio sul costo del denaro probabilmente non era necessario.

A questo punto risulta palese il fatto che la Fed ha agito così solo per non deludere le continue pressioni del presidente Trump, il quale fino al rilascio dei dati ha continuato la cascata di affermazioni intimidatorie alla banca centrale americana etichettandola come un nodo al collo per l’economia Usa.

Ricordo che la Federal Reserve era dal 2008 che non metteva mano a un taglio dei tassi d’interesse e ad oggi è l’unica banca centrale che non ha nei suoi piani un’azione di economia espansiva.

Questo potrebbe essere un aspetto da non sottovalutare perché potrebbe spingere il dollaro a rafforzarsi troppo e indurre quindi un rallentamento economico sul lungo termine, dando modo al verificarsi di una possibile crisi.

TRUMP

Trump per scongiurare tutto ciò, vuole un taglio netto e deciso del costo del denaro in modo da far ripartire l’azionario americano e allineare l’azione economia espansiva a ciò che stanno facendo tutte le banche centrali, al fine di tutelare le aziende americane e consentirgli un ottimo biglietto da visita in vista delle elezioni politiche del prossimo anno.

Detto ciò, come l’avrà presa il Presidente Usa alle affermazioni di Powell?

Non proprio bene, Trump voleva un taglio dei tassi di interesse di almeno 0.5 punti con prospettive espansive, cosa subito negata da Powell il quale con le sue affermazioni e prese di posizione ha fatto crollare gli indici azionari americani e fatto apprezzare il dollaro.

Di fatto questi ultimi comportamenti delle borse solitamente sono riconducibili a un aumento dei tassi e non a una loro diminuzione, quindi potremmo dire che Powell ha si accontentato Trump da una parte, ma dall’altra e come se avesse lasciato i tassi invariati o peggio li avesse aumentati perché il sentiment del mercato ha dato proprio l’azione opposta a un movimento di taglio del costo del denaro.

(Qua sotto i grafici dei principali indici americani collegati con il cambio Euro/Dollaro)

NASDAQ H4:                                                                   S&P500:

meeting della Fed

EURO/DOLLARO:

meeting della Fed

Ora che il meeting della Fed si è concluso e i dati sono stati rilasciati, Il Presidente Usa ha potuto scatenarsi dando il via ai suoi innumerevoli Tweet che ormai hanno il potere di smuovere i mercati con impulsi evidenti che danno un aumento di volatilità repentina in grado di spazzare via le posizioni dei trader retail in pochi attimi.

Quanto detto trova subito esempio nella giornata successiva al meeting della Fed dove si è visto il prezzo del Petrolio Gregio crollare e perdere l’8% solo in quella sessione, tutto ciò dovuto a una ripresa della guerra dei dazi dove il Presidente ha deciso di aumentare le imposte di un ulteriore 10% sui rimanenti 300 miliardi di dollari di merce e prodotti provenienti dalla Cina.

Qualche ora dopo ha rincarato la dose scrivendo che nell’ultima ondata i dazi contro la Cina potrebbero passare dal 10 al 25 per cento, tutto questo ha fatto crollare ulteriormente sia il Dow Jones di un – 1.05% e S&P500 di -0.90%. 

CINA                                          

La risposta della Cina non si è fatta attendere.

Già nella giornata di lunedì 5 agosto il governo cinese ha annunciato come prima cosa che le aziende a controllo statale (di fatto tutte) smetteranno di comprare prodotti agricoli dagli Stati Uniti, venendo meno così alla richiesta del presidente USA avanzata mesi fa.

Ma il colpo che si è fatto sentire maggiormente è stata la svalutazione che il governo cinese ha applicato alla sua moneta lo Yuan, facendolo arrivare a un tasso di cambio con il dollaro di un rapporto 7 a 1, valori che non si vedevano dal 2008.

Muovendosi in questa direzione la Cina ha incentivato quindi le proprie esportazioni rendendole più appetibili agli investitori, a discapito delle importazioni.

Il colpo è stato accusato subito dalle aziende ad alto contenuto tecnologico come Microsoft e Apple che hanno perso rispettivamente il 3.2 e il 5 per cento in una sola sessione, questo perché le aziende di maggior rilevo sentono maggiormente la Trade War tra Usa e Cina proprio perché solitamente sono costrette ad importare beni e materiali da quest’ultima.

La guerra commerciale quindi tra Usa e Cina sembra tutt’altro che affievolita.

I negoziati dovrebbero riprendere a settembre anche se un accordo, viste le tensioni attuali, sembra sempre più lontano.

Ora sarà il momento di Trump e della Fed che dovranno rispondere a questa mossa del governo cinese nata per contrastare gli effetti della politica monetaria di Trump.

Curioso sarà vedere se la Fed per rispondere alla svalutazione dello Yuan voglia strizzare l’occhio a un programma di tagli dei tassi.

Vi auguro buon trading e ci vediamo a settembre.

Michele Cervellin

 

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