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UNA SETTIMANA DA RICORDARE

La settimana appena trascorsa ha smosso i mercati dal periodo di ridotta volatilità delle ultime sessioni, grazie a eventi di rilievo come il rilascio dei dati delle banche centrali (Fed-Bce) sulle future politiche monetarie, elezioni in Gran Bretagna e possibile accordo definitivo tra Usa-Cina.

Andiamo a vedere nel dettaglio come sono cambiati gli equilibri sotto aspetti fondamentali e in fine come tutto questo ha plasmato i mercati sotto aspetti tecnici, denotando in alcuni casi importanti movimenti di cambio tendenza che potrebbero dare il via a nuovi trend per l’anno che verrà.

ELEZIONI G.B: JOHNSON VINCE E LA STERLINA VOLA

Con 365 seggi su 650, il partito conservatore di Boris Johnson nella giornata di giovedì scorso, ha ottenuto una schiacciante e storica maggioranza assoluta alla Camera dei Comuni di Londra, non prevista in alcuni modo dai sondaggi.

Johnson è stato confermato premier e dopo innumerevoli rinvii potrà finalmente realizzare quella Brexit tanto promessa, sulla quale ha costruito tutta la sua campagna elettorale.

Nel celebrare la vittoria alle elezioni, Johnson ha dichiarato di aver ricevuto un chiaro “mandato per la Brexit” che sarà portato a compimento entro il 31 gennaio 2020, data di scadenza concordata nei mesi scorsi con l’Unione Europea.

Il Primo Ministro britannico aveva chiesto tempo per le elezioni e i fatti gli hanno dato ragione.

Dopo il 31 gennaio cosa succederà?

Il Regno Unito non uscirà immediatamente dalla Ue ma si aprirà la fase di transizione che gradualmente lo porterà fuori dall’Unione che dovrebbe concretizzarsi a gennaio 2021.

C’è dunque ancora un anno di tempo per la Brexit vera e propria.

Possiamo affermare che il Regno Unito sarà ancora a tutti gli effetti uno Stato membro della Ue fino al 31 gennaio 2020, poi dovrebbe iniziare l’uscita graduale.

Tutto dipende da come si svolgeranno le trattative per questi negoziati, se si verificheranno intoppi oppure no o se il Regno Unito chiederà più tempo per presentare le proprie richieste.

Boris Johnson ha già escluso quest’ultima possibilità e ha manifestato il suo ottimismo su una conclusione rapida delle trattative, con la prospettiva di arrivare al documento finale già a giugno 2020.

Se tutto filerà liscio, l’uscita vera e propria del Regno Unito dalla Ue avverrà il 1° gennaio 2021.

HARD BREXIT?

Una “hard Brexit” sembra dunque scongiurata, se si considera che ora Johnson ha la piena maggioranza al parlamento e quindi una possibile votazione per un probabile accordo avrebbe maggiori possibilità di essere approvato rispetto agli insuccessi precedenti.

C’è da aggiungere che una uscita senza accordo con la Ue non converrebbe alla Gran Bretagna, questo perché sprofonderebbe il Paese in una situazione caotica, sebbene tutti gli scenari siano al momento aperti.

Ciò su cui si incentreranno le trattative sono in particolar modo gli accordi commerciali, poiché con l’uscita dalla Ue il Regno Unito abbandonerà l’area di libero scambio europea e dovrà o contrattare nuovi accordi commerciali con ognuno dei singoli Paesi dell’Unione compiendo un’impresa titanica, oppure trovare un accordo con l’Unione a 27 Paesi nel suo complesso.

Questa seconda ipotesi sembra più probabile oltre che ragionevole.

In vista di questa trattativa, l’Unione Europea nominerà per la sua parte un gruppo negoziale che riceverà dagli Stati membri il mandato a trattare i nuovi accordi commerciali con il Regno Unito.

Alcune questioni di massima sono state già stabilite nell’ultimo accordo sulla Brexit tra Regno Unito e Unione Europea, quello prima delle elezioni, ma dovranno essere ulteriormente sviluppate ed esplicitate.

La fase operativa del nuovo negoziato tra Ue e Uk dovrebbe svolgersi tra la primavera e l’estate del 2020.

Una volta raggiunto il nuovo accordo per la Brexit, questo dovrà essere ratificato anche dai singoli Stati membri dell’Unione Europea, con l’approvazione dei parlamenti nazionali.

Tutto questo non ha fatto altro che far apprezzare la sterlina, la quale sta recuperando contro molte coppie valutarie.

Da come notiamo dai grafici sotto riportati (H1), la sterlina nella giornata di giovedì ha mostrato grande forza guadagnando ben oltre 450 pips in una sola sessione nella coppia GBP/USD, per poi continuare la discesa nella coppia EUR/GBP attestandosi a 233 pips, segno che anche contro l’euro, sta recuperando in maniera consistente.

sterlina inglese

STERLINA

Nemmeno le valute rifugio come lo yen e il franco svizzero si son salvate.

Il guadagno da parte della sterlina nella coppia GBP/CHF ha segnato una variazione al rialzo di 430 pips, mentre sul cross GBP/JPY vi è stato il guadagno più consistente che ha portando il prezzo a un +525 pips, movimenti incredibili se si pensa che il tutto è stato segnato in poche ore da dopo l’uscita delle votazioni.

La sterlina dopo un anno caratterizzato da continue svalutazioni dovute all’incertezza del governo di Theresa May, ora sta segnando massimi sempre maggiori grazie alla sicurezza che il governo di Johnson sta dando agli investitori per una uscita dall’euro in buoni rapporti, grazie al possibile deal che andrà a concludersi nei prossimi mesi.

Detto questo da come si può intuire il destino della sterlina sarà strettamente legato a ciò che accadrà nei prossimi mesi sotto aspetti fondamentali politici.

Se i trattati continueranno nel miglior dei modi, di sicuro il prossimo anno sarà uno degli anni più rosei per questa valuta.

Dall’altra parte però se le cose dovessero farsi più complicate determinando conflittualità tra le parti di Bruxelles e Londra, in quel caso sapete già la risposta e sicuramente non sarà positiva.

BANCHE CENTRALI: IN ATTESA DI SVILUPPI FUTURI

Federal Reserve prima e Banca Centrale Europea dopo, rispettivamente nelle giornate di mercoledì e giovedì scorso, hanno rilasciato la nuova visione di politica monetaria da attuare nei prossimi mesi, denotando in ambo le parti una sorta di fase attendista per prepararsi a ciò che verrà in campo economico, viste le date importanti in ambito politico che andranno a caratterizzare il prossimo anno.

In questi meeting sia la Fed che la Bce hanno ritenuto opportuno non variare l’attuale tasso di interesse nelle rispettive parti, rilasciando dati ampliamente scontati dal mercato nelle giornate precedenti.

Il tasso di interesse per il dollaro si attesta a 1,75 punti base, mentre per la zona euro rimane vicino allo zero.

Powell rappresentando la Fed ha dichiarato che l’economia statunitense continua a crescere caratterizzata da un mercato del lavoro stabile e da consumi robusti.

Segnali inflattivi non se ne vedono e quindi alla banca non resta che rimanere vigile, pronta ad intervenire nel caso in cui qualcosa si modifichi improvvisamente.

Powell ha sottolineato che gli interventi sul mercato monetario stanno ottenendo i risultati sperati e che la Banca Centrale continuerà ad agire per garantire la trasmissione all’economia reale delle decisioni di politica monetaria.

Stando agli ultimi dati nel mese di novembre i nuovi lavoratori dipendenti non agricoli hanno registrato un aumento di 260mila unità.

Il tasso di disoccupazione è calato al 3,5% , i salari orari sono saliti di 7 centesimi, lo 0,2%, a 28,29 dollari per ora.

Le ore medie lavorate a settimana sono rimaste piatte a quota 34,4.

Per Powell il mercato del lavoro è in salute ma l’incremento delle paghe è ancora lento, anche se i dati dimostrano che l’economia americana sta tutt’altro che flettendo, per il momento tutto sta andando per il verso giusto insomma.

Staremo a vedere quanto durerà.

BCE

Per quanto riguarda la Bce è stata l’ora di Christine Lagarde nuova N1 del consiglio direttivo, la quale alla prima conferenza stampa da governatrice, prova ad essere ottimista.

Esistono segnali che la fase di rallentamento economico sta indebolendosi.

Come ogni nuovo inquilino che si rispetti, la governatrice annuncia l’avvio di una revisione strategica della politica monetaria della BCE, un lavoro che auspica possa iniziare già a gennaio e chiudersi entro il 2020.

Una revisione, l’ultima è datata 2003, che terrà in conto di due grandi temi: il cambiamento climatico e le disuguaglianze.

Forse è giunto anche il momento di rivedere il concetto di stabilità dei prezzi ed il target di inflazione.

La dinamica dei prezzi al consumo si mantiene debole sia in Germania che in Francia.

A livello mensile novembre ha registrato prezzi in calo in entrambi i paesi (più accentuato seppur atteso il calo in Germania, inatteso quello in Francia).

Su base annua l’inflazione si piazza attorno all’1% (+1.2% in Germania, +1% in Francia), si contrae inoltre la produzione industriale nell’eurozona registrando ad ottobre un -0.2% mensile, e un -2.2% su base annua.

Da come sapevamo la zona euro resta di fatto in una fase delicata e con poche possibilità di manovra, se si considera che i tassi sono già in territorio negativo.

Differente il caso degli Usa che rappresentano una maggiore solidità e con spazi di manovra di gran lunga superiori.

Se la questione dazi verrà risolta come secondo le ultime indiscrezioni affermano, sicuramente la zona euro ne trarrà beneficio rifacendo partire diversi settori, primo fra tutti il settore automotive che attualmente registra una rilevante flessione.

Cosa essenziale sarà quindi monitorare i consumi e i livelli di inflazione nell’euro zona per capire da che parte si sta dirigendo il mercato.

TRADE “WAR”: SI PUO’ ANCORA DEFINIRLA TALE?

Stati Uniti e Cina hanno raggiunto un primo accordo per eliminare gradualmente i dazi che nell’ultimo anno i due paesi si sono imposti a vicenda nell’ambito della cosiddetta “Guerra commerciale”.

L’accordo permetterà anche di evitare l’entrata in vigore di nuovi dazi statunitensi sui beni cinesi dal valore di 160 miliardi di dollari l’anno, prevista per il 15 dicembre.

La notizia, che era stata anticipata da diversi giornali statunitensi, è stata confermata sia dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump che dal vice ministro del Commercio cinese Wang Shouwen.

In base all’accordo, nel 2020 la Cina dovrà acquistare beni agricoli statunitensi dal valore di 50 miliardi di dollari, il doppio di quanti ne aveva acquistati nel 2017, prima dell’inizio della guerra commerciale tra i due paesi.

Inoltre, gli Stati Uniti abbasseranno i dazi già esistenti su beni cinesi dal 25 al 7,5 per cento.

Gli indici statunitensi dopo questa notizia non potevano non beneficiarne.

Infatti sebbene la notizia sia stata rilasciata a qualche ora dalla chiusura dei mercati, sia il Nasdaq che L’S&P500 hanno avuto modo di rompere i precedenti massimi per poi riassorbire parzialmente portando il prezzo al livello di chiusura della sessione precedente da come mostrato dai grafici sottostanti.

nasdaq

Ora sarà da monitorare come si comporterà il prezzo alla riapertura di oggi, dove avremmo modo di vedere se i massimi assoluti riusciranno a respingere il prezzo dopo queste importanti notizie.

In quest’ultimo caso potremo pensare che il mercato non si senta ancora pienamente sicuro dai cambi repentini a cui il presidente Trump ci ha abituato, attendendo così conferme scritte più certe.

RIASSUMENDO….. 2020 IN CRESCITA?

Iniziamo col dire che due dei maggiori ostacoli che limitano l’economia mondiale sono stati appena eliminati o almeno così sembra.

Per gran parte del 2019 dalle tensioni commerciali e dal rischio politico che ha compromesso la fiducia delle imprese, le prospettive di crescita globale entreranno nel 2020 su una base più solida dopo che gli Stati Uniti e la Cina hanno raggiunto un accordo commerciale parziale e le prospettive per una  “Hard Brexit” cioè di una uscita senza accordo sono state in qualche modo cancellate .

“L’accordo commerciale con la Cina e il risultato elettorale del Regno Unito hanno eliminato un grosso rischio di coda a strapiombo su mercati e aziende.

La fiducia delle imprese dovrebbe vedere un grande impulso che potrebbe vedere un riavvio degli investimenti globali, la ricostruzione delle scorte e una ripresa del volume degli scambi globali.”

Come i mercati finanziari, la maggior parte degli economisti aveva preso in considerazione una sorta di accordo commerciale di fase uno tra le maggiori economie del mondo quando la proiezione dell’economia mondiale si sarebbe stabilizzata nel 2020 dopo una crisi di recessione all’inizio di quest’anno.

Ma almeno l’accordo tra il presidente Donald Trump e il presidente Xi Jinping significa che alcuni degli scenari più terribili che sono stati contemplati solo pochi mesi fa sembrano ora meno probabili. 

Gli economisti hanno stimato a giugno che il costo della guerra commerciale USA-Cina potrebbe raggiungere $ 1,2 trilioni entro il 2021, con l’impatto diffuso nella catena di approvvigionamento asiatica. 

Tale stima si basava su tariffe del 25% su tutti gli scambi tra Stati Uniti e Cina e un calo del 10% nei mercati azionari.

L’accordo sulla prima fase lascia tuttavia irrisolti alcuni problemi complessi, aprendo la strada a nuovi scontri mentre Trump corre per la campagna delle prossime elezioni il prossimo novembre. 

Devono ancora essere affrontati i reclami degli Stati Uniti sulla vasta rete di sussidi che vanno dall’elettricità a basso costo, ai prestiti a basso costo che la Cina ha usato per costruire la sua potenza industriale. 

Trump ha detto che i colloqui su un accordo di Fase Due inizieranno immediatamente.

crescita globale

CRESCITA GLOBALE

Da grafico sopra riportato possiamo vedere come la crescita globale sia attualmente in ripresa, con la Cina che sta spingendo il piede sull’acceleratore.

Da porre attenzione al ritest di quel canale ribassista che tra qualche settimana potrebbe compromettere la bella favola che i mercati ci stanno raccontando.

Di fatto possiamo notare una notevole forza a rialzo ma molti aspetti politici-economici si devono ancora portare alla conclusione, solo in quel momento si potrà definire il tutto più solido andando a concretizzare l’idea rialzista.

“Un accordo commerciale che riporta le tariffe ai livelli di maggio 2019 (per gli Stati Uniti significherebbe il 25% su $50 miliardi nelle importazioni cinesi e il 10% su altri $200 miliardi ) e una riduzione dell’incertezza potrebbe aumentare il PIL globale per il 2020 dello 0,6%.

Un’interruzione dei colloqui e tariffe più elevate – ancora una possibilità data la scomposizione degli accordi passati – trascinerebbe la produzione globale verso lo 0,1% “.

Gli economisti di Morgan Stanley si aspettano che l’economia globale recuperi un certo slancio nel 2020, con una crescita in miglioramento da un minimo del 2,9% nel quarto trimestre di quest’anno al 3,4% entro la fine del 2020.

“Nel breve periodo, a livello globale, è come se tutto ciò che potesse andare per il verso giusto fosse andato a buon fine: nessuno avrebbe potuto aspettarsi migliori sviluppi durante le festività natalizie”, ha affermato Marc Chandler, capo stratega del mercato di Bannockburn Global Forex. 

Tutto procede bene quindi, speriamo solo che questo non sia solo uno scherzetto in vista delle festività che ci attendono.

C’è da dire che se gli aspetti continueranno verso questa strada, il 2020 sarà l’anno della ripresa, anche se a mio avviso una correzione fisiologica dei mercati non tarderà ad arrivare.

Con questo vi saluto e vi auguro buone feste e un buon inizio anno.

La RUBRICA DEL FOREX si prende un periodo di pausa per le festività che ci attendono e vi da appuntamento con l’inizio del prossimo anno.

 

Michele Cervellin

 

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