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Trade war e politiche future Bce

La settimana appena trascorsa ha visto l’accordo della famosa “Fase uno” tra Usa e Cina per risolvere la questione dazi.

Basterà solamente una prima fase per dare realmente delle risposte concrete ad ampie problematiche, come quelle legate allo scambio di merci e non solo tra le due super-potenze?

Andiamo quindi ad analizzare lo scenario in questione per capire quanto altro c’è da portare a termine da entrambe le parti prima di archiviare in modo definitivo l’accordo commerciale.

La firma che non convince pienamente

Mercoledì gli Stati Uniti e la Cina hanno firmato ciò che è stato definito un accordo di prima fase per un più ampio patto commerciale.

Molti giornalisti del settore affermano che, quanto accaduto, difficilmente si potrà ripetere in quanto il presidente Usa non si sbilancerà per un secondo accordo.

Questo perché non è nell’indole del presidente porgere la mano per più di una volta, soprattutto se si parla di interessi nazionali.

In una lettera letta durante la firma alla Casa Bianca, lo stesso leader cinese Xi Jinping ha chiesto a Trump di prendere provvedimenti per “rafforzare la fiducia reciproca e la cooperazione tra di noi”

L’amministrazione Trump ha revocato la designazione della Cina come un imbroglio di valuta, affermando che la nazione ha preso “impegni esecutivi” per non svalutare lo Yuan e ha accettato di pubblicare informazioni sui tassi di cambio.

Donald Trump, che aveva aperto la partita accusando Pechino di aver «stuprato per anni l’economia americana», ha definito l’accordo firmato nella giornata di mercoledì scorso come: «enorme per proporzioni e storico» perché nessun presidente Usa prima di lui aveva ottenuto tanto.

In effetti la promessa cinese di riequilibrare la bilancia commerciale con 200 miliardi di dollari in importazioni in due anni è un punto a favore della Casa Bianca.

Xi Jinping ha rinunciato a mettere la faccia (oltre che la firma) sotto il documento di 86 pagine siglato a Washington dal suo sobrio vicepremier Liu He.

Il leader cinese ha solo mandato una lettera nella quale osserva che «l’intesa è buona per la Cina, per gli Stati Uniti e il mondo».

Xi non vuole passare in patria, di fronte all’opinione pubblica, come un uomo che fa concessioni.

Trump da parte sua, voleva imporre nuove regole all’economia di Pechino, gonfiata dai sussidi statali.

Su questo fronte nella Fase uno c’è poco, quasi niente.

Solo ripetizione di impegni a non violare la proprietà intellettuale, a non forzare le industrie americane a cedere tecnologia per entrare sul mercato cinese.

Tutti impegni che la Cina ha già preso vent’anni fa per entrare nel Wto e che ha sistematicamente aggirato.

L’amministrazione Trump, abbasserà la percentuale (dal 15 al 7,5%) di alcuni dazi su 120 miliardi di dollari di merci esportate dalla Cina, precisando che in ogni caso il governo americano si terrà pronto ad aumentare nuovamente le aliquote laddove il Dragone non rispettasse gli accordi presi.

L’accordo

Il documento prevede due anni di acquisti rafforzati dai cinesi.

Se Pechino non sarà contenta dell’atteggiamento americano (se non cadranno i dazi che restano in vigore) potrà cambiare nuovamente fornitori alla fine del 2021.

Certo, a quel punto se sarà ancora alla Casa Bianca, Trump non si dovrà più preoccupare dei suoi elettori, agricoltori del Midwest e industriali.

Però, 200 miliardi di dollari di importazioni in beni e servizi sembrano una concessione se non un cedimento di fronte alle richieste americane.

Un bel regalo pre-elettorale di Trump agli agricoltori e agli industriali di casa.

La Cina non si sente sconfitta.

Il Quotidiano del Popolo questa mattina sottolinea (avverte gli americani e i lettori cinesi) che per quanto riguarda i 32 miliardi in più di prodotti agricoli «i prezzi debbono essere competitivi e le forniture debbono seguire gli standard di qualità e sicurezza cinesi».

«Se la Cina non potrà importare abbastanza a causa di restrizioni dell’export americano, la responsabilità cadrà su Washington».

Tradotto: Pechino importerà beni e servizi di cui ha comunque bisogno e secondo le proprie regole.

Su questo punto quindi, gli sconfitti potrebbero essere i molti Paesi agricoli e industriali che forniscono il mercato cinese, dall’America latina all’Europa.

Molti analisti attribuiscono la rapidità dell’amministrazione Trump alla necessità di distrarre l’opinione pubblica dal processo di impeachment che i democratici stanno imbastendo contro il presidente.

In questa ricostruzione può pure esservi un fondo di verità, poiché è indubbia la capacità distraente di una accordo epocale come questo, ma ciò non toglie alcunché all’operazione voluta e condotta da Trump e che era stata presentata dalla stampa liberal come l’ennesima minaccia alla pace mondiale firmata dal Tycoon.

Zona Euro: pronta a nuovi dazi?

l’Unione europea impugnerà l’accordo commerciale Usa-Cina davanti all’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) se creerà «distorsioni» nel mercato che danneggino le società Ue.

Lo ha detto l’ambasciatore europeo a Pechino, Nicolas Chapuis, secondo quanto riporta l’Ansa.

Chapuis ha assicurato che l’Ue «monitorerà l’attuazione» della ‘fase uno’ dell’accordo che è stato firmato mercoledì dal presidente americano Donald Trump e dal vicepremier cinese Liu He.

«A nostro avviso, gli obiettivi quantitativi non sono compatibili se provocano distorsioni negli scambi commerciali. Se così fosse, andremo al Wto per risolvere la questione», ha avvertito l’ambasciatore Ue.

L’Europa sta quindi monitorando i passi futuri del presidente Usa e per comprenderne a pieno il motivo occorre fare un passo indietro di qualche mese.

Il 18 ottobre sono entrati in vigore i dazi dal 10 al 25% imposti dagli Stati Uniti sull’Unione Europea.

Tariffe per un valore di 7,5 miliardi di dollari che interessano soprattutto Francia, Germania, Spagna e Regno Unito con ripercussioni da mezzo miliardo di euro l’anno su formaggi, liquori, salumi e agrumi italiani.

Alla base dell’aumento dei dazi c’è il verdetto del 2 ottobre del Wto sulla guerra tra Airbus e Boing.

Secondo l’Organizzazione mondiale del commercio, l’Europa ha illegittimamente aiutato Airbus (europea) nella lotta contro Boeing (statunitense, in forte difficoltà nell’ultimo anno a causa dell’incidente del 737 Max avvenuto nell’ottobre del 2018) per il dominio dei cieli.

Queste tariffe rappresentano la via scelta dagli Usa per controbilanciare agli aiuti pubblici e illegittimi concessi alla compagnia olandese.

Da sottolineare però che la stessa accusa, ma all’inverso, è stata fatta dall’Europa agli Usa e anche in questo caso l’Organizzazione mondiale del commercio dovrà emettere un giudizio, atteso a settembre 2020.

Entro la fine del mese, come detto, gli Stati Uniti potrebbero decidere di estendere la lista dei prodotti europei soggetti a dazi e aumentare le tariffe su quelli già tassati.

Lo scorso 12 dicembre, il Rappresentante al commercio Usa ha infatti pubblicato una nuova black list di beni e merci su cui si potrebbe abbattere una scure tariffaria pari complessivamente a 3 miliardi di dollari, con dazi che potrebbero arrivare addirittura al 100%.

Concluso tre giorni fa il periodo di consultazione pubblica avviato dal Dipartimento del Commercio americano (Ustr), la Casa Bianca nei prossimi giorni potrebbe passare all’azione.

Per evitarlo il nuovo commissario europeo al Commercio, Phil Hogan, il 14 gennaio è volato a Washington.

Nel corso della sua visita Hogan ha incontrato il rappresentante per il Commercio Usa, Robert Lighthizer,e i segretari di Stato al Commercio Wilbur Ross e al Tesoro Steven Mnuchin per discutere non solo del caso Airbus, ma anche del dossier sulle importazioni di auto tedesche e delle minacce fatte da Trump a Francia, Italia e Austria a causa della loro volontà di introdurre una digital tax che danneggerebbe i colossi statunitensi dell’Hi-Tech.

Hogan ha cercato di convincere le autorità Usa a mettere in standby i nuovi dazi in vista della decisione del Wto sul caso Airbus-Boeing prevista per l’estate.

L’organizzazione per il commercio potrebbe infatti dare ragione all’Europa rendendo immotivati i dazi Usa, autorizzati perché considerati una “compensazione” per gli aiuti del vecchio continente ad Airbus.

Politiche Bce: Christine Lagarde in prima fila

Gli osservatori della Banca centrale europea sono praticamente convinti che la presidente Christine Lagarde cambierà l’obiettivo di inflazione dell’istituzione per la prima volta in 17 anni mentre cerca di raggiungere la stabilità dei prezzi che è sfuggita al suo predecessore.

Quasi il 90% degli intervistati in un sondaggio ha previsto che la BCE modificherà ufficialmente la sua strategia per dare uguale peso a inflazione troppo bassa e troppo alta.

La metà ha affermato che l’obiettivo attuale di “sotto, ma vicino al 2%” sarà reso più preciso.

La BCE sta cercando di capire perché l’inflazione è scesa al ribasso nonostante anni di tassi di interesse negativi e 2,6 trilioni di euro ($ 2,9 trilioni) di acquisti di obbligazioni sotto Mario Draghi, che ha ricoperto la presidenza dal 2011 fino alla fine dell’anno scorso.

Chiarire o modificare la definizione di stabilità dei prezzi potrebbe aiutare i responsabili politici a rispettare il loro mandato, sebbene rischi anche di accusare di spostare semplicemente i pali della porta.

Lagarde dovrebbe avere il margine per condurre la rivalutazione più completa almeno dal 2003, che durerà gran parte di quest’anno e, nelle sue parole, non avere “nessuna zona di atterraggio preconcetta”, ha detto ai membri del Consiglio direttivo.

Vuole avviare il processo durante la riunione politica del 23 gennaio.

I suoi colleghi hanno messo in discussione le loro posizioni per mesi, segnalando un ampio sostegno per una valutazione dell’obiettivo dell’inflazione, ma nessun ovvio consenso su cosa si dovrebbe fare con esso.

“Un risultato plausibile della revisione è un intervallo target per l’inflazione con un punto medio del 2%”, ha dichiarato Kristian Toedtmann, economista presso la DekaBank di Francoforte.

“Ciò darebbe al Consiglio direttivo la flessibilità di decidere caso per caso se un eventuale superamento è appropriato o meno”.

Lagarde ha anche promesso di considerare in che modo la BCE può aiutare la lotta ai cambiamenti climatici, definendola una missione fondamentale per l’istituzione.

Tuttavia è stato un argomento spinoso per alcuni responsabili politici, nonostante le preoccupazioni che la concentrazione della banca centrale sulla stabilità dei prezzi possa essere diluita.

Oltre la metà degli intervistati a un sondaggio economico ha affermato che la BCE non terrà conto dell’impatto del riscaldamento globale nel definire la sua politica quest’anno.

In effetti la maggior parte ha predetto che non cambierà molto nel 2020 o nella maggior parte del 2021.

Si aspettano un allentamento quantitativo, che è stato controverso ripreso a novembre, per rimanere a 20 miliardi di euro al mese e fermarsi intorno alla fine del prossimo anno.

I tassi secondo le ultime indiscrezioni e il parare di molti analisti, potrebbero aumentare dal secondo trimestre del 2022.

Quindi possiamo dire che c’è ancora tempo per l’euro zona per un eventuale colpo di reni per una ripresa economica anche se attualmente risulta ardua.

Le politiche di gestione di ogni singolo stato devono andare a braccetto con le politiche Bce al fine che questa tanto desiderata ripresa avvenga, facendo particolare attenzione su dove i singoli stati dirigono la liquidità a loro disposizione.

I rischi per l’economia:

Almeno le nuvole che hanno oscurato l’economia per quasi due anni sembrano sollevarsi leggermente.

Il livello di preoccupazione per le minacce tra cui la recessione e la guerra commerciale è sceso al livello più basso dall’aprile 2018.

Gli Stati Uniti hanno firmato un accordo commerciale di “fase uno” con la Cina e gli indicatori economici europei hanno mostrato segni di stabilizzazione, anche se l’attacco militare USA sull’Iran questo mese ha aumentato le tensioni in Medio Oriente.

Ciò ha sollevato la prospettiva di un dibattito durante la riunione politica della Bce, sulla descrizione dei rischi indicata attualmente come “inclinata al ribasso”.

Lagarde ha dichiarato a dicembre che tali rischi sono diventati “un po ‘meno pronunciati” e il membro del Comitato esecutivo Yves Mersch questa settimana ha detto che sono “meno inclinati”

rischi commerciali

Da come evidenziato dal grafico, secondo gli ultimi dati le stime riguardo ai rischi commerciali e rischi riguardanti l’area euro,.

Oa sono orientate a ribasso, segno che l’economia della valuta comune in questo periodo potrebbe trarne vantaggio allentando un po’ la tensione riguardo alle preoccupazioni future.

Anche se i dati risultano stagnanti come quello del Pil e l’inflazione, di fatto rischi maggiori come quello legato a guerre commerciali “sembrano” orientati al ribasso.

“Guardando al futuro, la revisione della strategia potrebbe essere il massimo entusiasmo che riceveremo dalla BCE quest’anno”, ha dichiarato Carsten Brzeski, economista presso ING di Francoforte.

“Finché l’economia della zona euro si muove piuttosto in senso orizzontale e alcuni governi iniziano a intensificare lo stimolo fiscale, non sarà necessario modificare la posizione di politica monetaria”

Concludo dicendo: “Le banche centrali potrebbero aver salvato il mondo dalla depressione a seguito della crisi finanziaria, ma la loro capacità di invertire sulle loro economie da qui è limitata proprio perché quello che si poteva fare è già stato fatto e gli spazi di manovra stanno via via riducendosi.

Non è drogando il mercato azionario che si risolvono i problemi legati all’economia reale.

Prima o poi un aumento dei tassi sarà obbligatorio.

Questo potrà spazzare via con facilità tutti gli sforzi fatti per tenere in piedi un sistema che avrebbe dovuto stornare già tempo fa.”

Con questo vi lascio e vi auguro buon trading.

 

Michele Cervellin

 

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