Per fermare lo slideshow cliccare su una freccia

 

DATI CHE COLPISCONO

Siamo ormai giunti nella fase più calda dei mercati.

Come già preannunciato negli articoli precedenti le fasi conclusive di questi continui botta e risposta su più fronti economici si stanno orientando ad una svolta.

Dati globali, indici e politiche stanno portando tutti verso un’unica direzione.

Andiamo ad analizzare questa combinazione di fattori riassumendo nello specifico quali campanelli d’allarme ci stanno avvertendo ormai da tempo su quello che potrà accadere nei mercati, cercando di capire se ci possa essere una soluzione per prevenire il rallentamento economico.

DATI USA: INDICE ISM

Sul comparto Usa i dati uscenti riguardati l’indice manifatturiero (ISM) unito ai dati occupazionali del settore non agricolo (NFP) di venerdì hanno lasciato un sapore agrodolce sul mercato, trovando dati che hanno causato un aumento di volatilità.

L’indice manifatturiero redatto ogni mese dall’ Institute for Supply Management è crollato al 47,8 nell’ultimo mese.

Si tratta del livello più basso da dieci anni.

Un calo ulteriore dal già pessimo valore del 49,1 registrato in agosto, mese nel quale l’indice aveva già riportato il peggiore risultato dal 2016.

È andata molto peggio del previsto.

Le stime degli economisti sentiti nel panel da MarketWatch ipotizzavano un valore dell’indice ISM in settembre in leggera ripresa al 50,2.

Il forte declino dell’indice che misura gli ordini dei direttori degli acquisti nelle aziende Usa, risente della paura di una recessione da parte delle aziende americane per l’elevata instabilità causata dalla guerra dei dazi.

Come prevedibile il pessimo dato sulla produzione manifatturiera ha fatto girare in negativo gli indici di borsa a Wall Street.

Alla comunicazione ufficiale del dato, si sono registrati bruschi cali nell’azionario, segnando un -1.68% sul NASDAQ e un -1.25% sul S&P500.

Questo perché il dato rilasciato ha rotto la soglia di attenzione dei 50 punti per la seconda volta, determinando nell’immediato sfiducia da parte degli investitori.

Vorrei ricordare che la soglia dei 50 punti è molto importante perchè fa da spartiacque tra una fase di espansione o di contrazione dell’attività.

NON MANUFATTURIERO

Dopo l’ISM manifatturiero anche l’indice ISM “NON” manifatturiero USA delude in modo netto.

L’indicatore è sceso a settembre a 52,6 punti, in netto calo dai 56,4 di agosto e ben al di sotto delle attese degli analisti fissate a 55.

Se mettiamo in relazione questi 2 indici e li confrontiamo con l’andamento del S&P500 (grafico sotto) possiamo vedere ben distintamente che ogni qualvolta ci sia una virata di entrambi gli indici ISM in zona inferiore ai 50 punti, vi è una crisi economica che ha fatto crollare gli indici azionari come nel caso del S&P500 preso in considerazione.

Ora siamo in una fase di ribasso degli indici ISM che potrebbero preannunciare proprio una fase recessiva.

Se unito ad altri fattori spiegati negli articoli precedenti possiamo affermare che ci sono diversi campanelli che ci possono far pensare che una fase di contrazione non è da escludere.

dati usa

NFP

Venerdì è stata l’ora del rilascio dei Non Farm Payrolls (NFP) buste paga del settore non agricolo, i quali hanno dato una leggera spinta al mercato dopo varie sedute negative dei giorni precedenti.

L’economia americana a settembre ha creato 136.000 nuovi posti di lavoro, un po’ al di sotto delle attese che erano di circa 145.000 e un tasso di disoccupazione che scende al 3.5%, dato che non si vedeva dal 1969.

Il tasso di disoccupazione, dunque, non era così basso dal dicembre di 50 anni fa.

Nonostante i numero indichino quindi un mercato del lavoro americano che continua a crescere in maniera costante, rispetto allo scorso anno si registra comunque un rallentamento, con una media annua passata da 223.000 posti nello stesso periodo del 2018 agli attuali 161.000 posti.

C’è da dire che un dato molto vicino a quello rilasciato attualmente sull’occupazione era presente anche ai tempi della crisi delle dot-com, che in quel periodo si registrava intorno ai 3,8-4 punti.

Possiamo quindi dire che anche se le tematiche erano diverse proprio per la spinta speculativa in essere che c’è stata, si può comunque affermare che una corsa simile all’affare e al guadagno facile nei mercati è stata fatta dal 2008 in poi  spingendo l’azionario in un trend di bull che potrebbe avere bisogno di un momento di respiro.

TRADE WAR

Per quanto riguarda l’inasprimento dazi vera ossessione del presidente Usa, sul piano degli scambi commerciali si sono rivelati un flop.

A primavera (prima dunque che entrassero in vigore le ultime raffiche di tariffe) il deficit americano nei confronti dell’industria manifatturiera cinese aveva raggiunto il massimo storico.

Ma la coda più velenosa riguarda come spesso accade, la bolletta dei dazi.

Chi paga concretamente, dollaro su dollaro, l’importo delle tariffe imposte alla dogana da Trump? Risposta: non i cinesi.

Il presidente ha sempre sostenuto che sono quelli che esportano in America, oggi i cinesi, domani gli europei, a sopportare il costo dei dazi.

Ma dati ed analisi dicono il contrario.

Gli unici americani che guadagnano davvero dai dazi sono i concorrenti nazionali delle industrie cinesi che spesso adeguano i loro prezzi a quello dei beni importati, anche se loro non pagano dazio, intascando gli extraprofitti.

Ma le tariffe le pagano gli importatori e se questi decidono di non tagliare i loro profitti a farne le spese saranno i consumatori su cui scaricheranno l’extracosto.

E’ il risultato a cui giungono i ricercatori del Fondo monetario internazionale, dopo aver esaminato i dati delle dogane.

Le merci cinesi arrivano nei porti ai prezzi di sempre, senza nessuno sconto.

Sono gli importatori ed eventualmente, i consumatori ad assorbire il maggior costo delle tariffe.

Lo diceva già uno studio della Federal Reserve di New York a primavera: le tariffe in vigore a maggio, prima della nuova raffica estiva, costano ai consumatori americani circa 5 miliardi di dollari al mese.

Con i dazi, insomma, l’America di Trump tassa se stessa.

GERMANIA IN PRIMA LINEA

I guai economici della Germania stanno diventando sempre più significativi, indicando un brusco rallentamento su più settori che stanno a suggerire le difficoltà del comparto industriale.

Oltre ai dati sul Pil che stanno a indicare un brusco cambio di tendenza spingendosi in zona negativa nel secondo trimestre, ora si aggiunge anche l’indice sui servizi con outlook negativo.

Mentre la debolezza è ancora in gran parte incentrata sulla produzione, una revisione al ribasso dei servizi a settembre si aggiunge alle notizie negative proveniente dalla prima economia dei paesi dell’euro zona.

L’indice Pmi sui servizi della Germania è crollato a settembre a 51,4 punti dai 54,8 di agosto. Si tratta del livello più basso da settembre 2016. L’indice composito è sceso a 48,5 punti dai 49,1 di agosto

Il mese precedente ha visto la contrazione dei servizi anche nell’Euro zona e nel Regno Unito, segno che le aziende potrebbero non essere più in grado di sostenere questa incertezza continua del mercato congelando gli investimenti.

Dal grafico qui sotto si può notare come tutte e 3 le aree dette prima, abbiano subito un brusco calo, e stiano puntando con decisione in zona recessiva.

COMPARTO OBBLIGAZIONARIO

Altro fattore che sta ad indicare la sfiducia del mercato è la corsa al comparto obbligazionario che sta vedendo un aumento del prezzo generalizzato su più asset, segno inequivocabile di indecisione degli investitori.

Le obbligazioni tedesche sono aumentate, con un rendimento a 10 anni sceso di 4 punti base a -0,58%. 

Sono stati sotto lo zero per cinque mesi, riflettendo la crescente preoccupazione per le prospettive.

La diffusione dei servizi per l’area Euro è preoccupante, dove le tensioni commerciali e la crescita globale più debole stanno già avendo conseguenze sempre più allarmanti.

Nell’articolo precedente si è spiegato come la Bce abbia lanciato nuovi stimoli monetari al fine di sostenere la crescita dei mercati, ma il suo vice presidente Luis de Guindos, ha dichiarato giovedì che i rischi sono sotto attenta osservazione.

Il mese scorso l’istituto centrale ha allentato ulteriormente la politica monetaria per rilanciare crescita e inflazione, innescando un insolito battibecco pubblico tra le sue ‘colombe’ e i membri più conservatori dei paesi settentrionali della zona euro.

Proprio riguardo a questa fase espansiva si è sbilanciato lo stesso Guindos affermando: “Abbiamo imparato dall’esperienza in Giappone che è possibile rimanere intrappolati in un circolo vizioso in cui le aspettative sull’inflazione scendono, cala l’inflazione stessa e vi è un limite inferiore vincolante sui tassi di interesse nominali da cui è difficile sfuggire”

LE RISPOSTE DI DRAGHI

Questo può indurre a pensare che la Bce non abbia molti spazi di manovra ulteriore da poter sfruttare.

Lo stesso Draghi in una sua intervista si è sbilanciato dicendo che la banca centrale europea deve affacciarsi a nuove politiche, suggerendo al consiglio direttivo di spostare l’attenzione sul MMT.

Draghi stava rispondendo a una domanda su quali fossero i modi migliori per incanalare i fondi verso l’economia in modo da aiutare la disuguaglianza.

Citando proprio l’MMT come descritto in un recente articolo dell’ex vicepresidente della Federal Reserve Stanley Fischer (consulente del dottorato di Draghi) secondo il quale le banche centrali dovrebbero immettere il denaro direttamente nelle mani di chi spende nel settore pubblico e privato, dando meno importanza al deficit compressivo.

IN COSA CONSISTE L’MMT ?

L’MMT di fatto consiste in una nuova distribuzione monetaria da parte della banca centrale europea verso le banche private fino ad arrivare direttamente agli stati.

Con il sistema tradizionale il flusso monetario passa dalla Bce alle banche private o grande istituzioni finanziarie che acquistano debito comprando successivamente titoli di stato che vanno a sovvenzionare il debito pubblico dello stato.

Questo sistema ha riscontato però 2 principali problemi:

-nel primo abbiamo che le banche private non sempre rimettono in circolo nell’economia reale la quantità di denaro necessaria per alimentare il ciclo economico.

– nel secondo la quota ripagata comprende sempre e solo il capitale e mai gli interessi per cui l’economia reale accumula debito anche senza volerlo.

Un meccanismo perverso che distrugge ricchezza per compensare un debito di cui una parte non ha riscontro in moneta disponibile: una vera assurdità.

La soluzione si presenta con l’MMT in cui le carte in tavola cambiano notevolmente.

In questo sistema la BCE diventa protagonista attiva finanziando direttamente le richieste di liquidità degli stati, bypassando quindi le banche private.

Facendo così si risolverebbero in gran parte i problemi sopra elencati immettendo più liquidità nel flusso reale, aumentando così gli scambi nel flusso monetario dello stato.

Con una simile modalità nessun governo potrebbe mai più dire che non ci sono i soldi in relazione alla spesa pubblica.

Ecco perché in questo modo il fattore deficit che attualmente tiene legati diversi stati con questo metodo non sarebbe più un problema, lasciando agli stati uno spazio di manovra notevole.

CROSS DA MONITORARE

USD/CAD sta raggiungendo un livello di attenzione particolarmente interessante.

Da come si può vedere nel grafico qui sotto siamo a ridosso di un’importante resistenza che in passato ha respinto il prezzo più volte.

Se poi consideriamo la forza attuale del Cad i motivi per monitorare il dollaro canadese aumentano.

USD/CAD (grafico Daily)

usd cad

Se andiamo più nello specifico notiamo un impulso rialzista composto da un AB=CD pattern che potrebbe completarsi proprio a ridosso dell’area che abbiamo segnato.

Se ci aggiungiamo anche la possibilità di una fuoriuscita del prezzo dalle Bande di Bollinger sicuramente può farci solo che piacere per un possibile trade.

Essenziale è trovare un vantaggio statistico e quindi trovare un insieme di confluenze tecniche e fondamentali in grado di avvantaggiarci nel trade.

In questo caso oltre all’analisi fondamentale vi è anche una componente tecnica che potrebbe essere sfruttata proprio a ridosso di quella zona volumetrica.

Ora una volta individuato l’area di attenzione è fondamentale sapersi comportare utilizzando un pattern di entrata.

In questo caso pattern come la marsigliese, calicetto o doppio min/massimo si prestano alla perfezione dandoci un’entrata con rischi rendimenti maggiori.

In questo caso protetti anche dalla possibile zona di resistenza che ci potrebbe aiutare nel momento in cui il prezzo abbia una forza relativa maggiore inaspettata.

Se il prezzo dovesse reagire ancora una volta alla resistenza tracciata, saremo in un contesto confermato di trading range, dove a sua volta potremmo sfruttare le zone di supporto segnate in figura per poter aspettarci un possibile reverse del prezzo e poi andare long.

Ricordo inoltre di monitorare anche le valute rifugio per eccellenza come lo yen e il franco svizzero che in questi momenti di instabilità del mercato vengono solitamente apprezzate nei confronti di altri cambi.

Ora vi saluto e vi auguro buon trading.

Michele Cervellin.

 

ARTICOLI RECENTI